mercoledì 20 novembre 2013

L'abbronzatura 1 parte

All'alba della storia il genere umano doveva avere la pelle nera.
La conseguente pelle chiara è dovuto allo spostamento dell'uomo e ai flussi migratori, che lo hanno portato in zone poco soleggiate, ove la pelle non aveva più bisogno di produrre molta melanina, per difendersi dal sole.
Parallela alla storia del bikini, è la storia dell'abbronzatura.
Gli antichi Romani e Greci, che amavano esibire i loro corpi e frequentare Thermae e Solaria, di certo non disdegnavano l'abbronzatura.





Nel Medioevo, sia per effetto del Cristianesimo, che mortificava il corpo, sia per la poca attenzione alla pulizia e alla cura del corpo, come vediamo da dipinti e iconografie, il viso e il corpo venivano rappresentati diafani.

Durante il 500-600 la pelle delle classi nobili doveva essere rigorosamente pallida.


La pelle pallida era un segno distintivo dalla classe dei contadini, che, lavorando all'aria aperta, si abbronzavano la pelle.
Gli accessori più amati dalle dame settecentesche erano l'ombrellino, il parasole e i guanti, realizzati in tutte le fogge e materiali, di seta, di pizzo, adornati di ruches e nastrini, colorati o bianchi, civettuoli o sobri.




E se nonostante tutto, qualche raggio riusciva a colorare il viso, i rimedi erano subito pronti: un po' di latte fresco di mucca con qualche goccia d'acqua di colonia o una generosa incipriata al viso.


Basta leggere nel poemetto "Il Giorno" l'interpretazione ironica, che il Parini ci offre del " Risveglio del giovin signore".

La moda di allora vuole che il giovin signore affronti la vorticosa nuvola di cipria, come i suoi antenati affrontavano la polvere della battaglia.