Per gentile concessione di QVC Italia, che mi ha inviato alcuni prodotti, al fine di testarli e trascrivere le mie impressioni, oggi parlerò della linea protezione solare Ultrasun.
Testare questi prodotti, per me non è una novità.
Uso Ultrasun da almeno due anni.
Amo tantissimo d’estate abbronzarmi e la linea Ultrasun è la migliore, che abbia mai provato.
Innanzitutto la texture non unge né impasta la pelle, cosa molto importante per chi non ama sudare sotto l’untuosità delle creme.
Si assorbe velocemente e non fa aderire alla pelle la sabbia, evitando così quell’odioso effetto “cotoletta impanata”, che molte altre creme protettive causano.
Se ho fretta e non ho tempo di stendere la crema sul corpo, opto volentieri per la protezione spray Ultrasun 50.
In tal modo sono protetta tutto il giorno, senza un minimo di manutenzione.
Comunque sia, stendo sul mio corpo i prodotti Ultrasun, qualche minuto prima di uscire di casa.
Così non appesantisco la mia sacca da mare con barattoli e tubetti, che rischierei, oltretutto, di smarrire in spiaggia.
Mi bagno tranquillamente, prendo il sole, poi mi ribagno tutta la giornata, senza più preoccuparmi di dover stendermi sul corpo creme.
I prodotti Ultrasun sono inodore, quindi adatti anche agli uomini, o a chi non vuole lasciare scie fastidiose di profumo tra gli ombrelloni.
La loro validità è di tre anni, essendo l’erogazione del contenuto sottovuoto.
Ciò per me è un grande vantaggio, anche economico.
Quest’anno posso usare tranquillamente le protezioni solari dell’anno scorso, senza doverle buttar via e comperarne delle nuove.
La mia protezione preferita è Ultrasun SPF 20 sensitive con glitter.
Questa emulsione, oltre ad assorbirsi velocemente, deposita sulla pelle microscopiche porzione di minerale, che rendono la pelle lucente, bellissimo effetto sulla pelle non ancora dorata dal sole oppure già abbronzata.
Uso Ultrasun Ultralip tutto l’anno, perché questo lipstick protegge perfettamente le labbra, non solo dal sole, ma anche dal freddo e dal vento, non appiccica e posso coprirlo col mio rossetto abituale.
Uso tutto l’anno anche Ultrasun SPF 30 Face, perché oltre a proteggermi viso e collo dai raggi dannosi, funge benissimo da primer sotto il fondotinta.
lunedì 15 luglio 2013
sabato 13 luglio 2013
La minigonna - 3^ parte
Con alterne vicende la minigonna riesce a sopravvivere fino agli anni novanta e duemila, grazie anche all’uso che ne fanno le attrici in film allora in voga come Friends, Melrose Place, Sex and the City.
In una sequenza di Basic Instict, in cui Sharon Stone indossa un corto tubino senza biancheria intima, la minigonna arriva alle estreme conseguenze della seduzione.
Anche Non è la Rai, famoso programma televisivo di quegli anni, diventa centro di polemica, perché presenta adolescenti omologate in minigonna.
Nella prima decade degli anni duemila, accanto ai pantaloni a vita bassa in genere di cattivo gusto se non addirittura volgari, la minigonna continua a passare per le strade.
Spesso, nei mesi invernali, viene indossata con leggings, fuseax o pesanti collant.
Questo permette alle donne, non giovanissime di indossarla.
Nel 2005 in Gran Bretagna la catena di grandi magazzini Harvey Nichols fece un sondaggio per individuare il capo più amato dai propri clienti: la minigonna ottenne il primo posto.
Oggi la minigonna ha perso il suo valore simbolico controverso di liberazione-schiavitù della donna.
Ma alcuni paesi a maggioranza islamica da ben cinquant’anni non ne cessano il divieto.
In una sequenza di Basic Instict, in cui Sharon Stone indossa un corto tubino senza biancheria intima, la minigonna arriva alle estreme conseguenze della seduzione.
Anche Non è la Rai, famoso programma televisivo di quegli anni, diventa centro di polemica, perché presenta adolescenti omologate in minigonna.
Nella prima decade degli anni duemila, accanto ai pantaloni a vita bassa in genere di cattivo gusto se non addirittura volgari, la minigonna continua a passare per le strade.
Spesso, nei mesi invernali, viene indossata con leggings, fuseax o pesanti collant.
Questo permette alle donne, non giovanissime di indossarla.
Nel 2005 in Gran Bretagna la catena di grandi magazzini Harvey Nichols fece un sondaggio per individuare il capo più amato dai propri clienti: la minigonna ottenne il primo posto.
Oggi la minigonna ha perso il suo valore simbolico controverso di liberazione-schiavitù della donna.
Ma alcuni paesi a maggioranza islamica da ben cinquant’anni non ne cessano il divieto.
mercoledì 3 luglio 2013
La minigonna - 2^ parte
Si dice che la minigonna venne inventata nel 1963 dalla stilista inglese Mary Quant, che si ispirò all’automobile Mini.
Ma anche altri stilisti come il francese André Courrèges o il californiano di adozione Rudi Gernreich negli anni 60 ebbero la stessa ispirazione di accorciare le gonne.
Del resto la stessa Mary Quant affermò che la minigonna è stata inventata dalla strada.
La ribellione dei giovani ai periodi precedenti, la facilità e l’economicità di produrre questi capi, fecero sì che la minigonna si diffondesse facilmente sia nella quotidianità che nell’alta moda.
Lo stilista André Courrèges presentò una minigonna meno aderente e portata con stivaletti per un outfit d’alta moda.
Diversi fotografi come Helmut Newton e Richard Avedon immortalarono modelle come Twiggy in minigonna e abiti molto corti.
La modella Jean Shrimpton fu oggetto di scandalo nel 1965, poiché si presentò all’ippodromo di Melbourne, dove si svolgeva il Victoria Derby, con un miniabito di Colin Rolfe, senza calze, né guanti, né cappello, mentre era circondata da donne più anziane, vestite in maniera tradizionale.
La minigonna si associava bene allo spirito di ribellione di quegli anni.
In alcuni movimenti femministi la minigonna venne associata all’atto del bruciare il reggiseno, come protesta contro i simboli della donna tradizionale.
La moda della minigonna e in genere le mode legate alla Swinging London, originarie del blocco occidentale, si diffusero negli Stati Uniti.
Mentre in Cina, dove era in atto la Rivoluzione Culturale, la minigonna venne rigettata come simbolo della “depravazione” dell’Occidente capitalista.
In Italia la minigonna iniziò a diffondersi nel 1966, ma spesso scandalizzava l’opinione pubblica e veniva per lo più riservata per i locali da ballo.
Nel 1967 Nicola Adelfi scrisse un articolo su La Stampa, in cui sosteneva che la minigonna è un passo indietro nella lotta per la parità dei diritti della donna, rendendola un mero oggetto di attrazione sessuale.
Sempre nel 1967 la polizia francese accusò la minigonna di favorire gli atti di violenza sulle donne, stimati in aumento, mentre il ministro dell’istruzione Alain Peyrefitte chiese il ritorno alla gonna lunga nelle scuole, suscitando polemiche anche da parte dei presidi.
La Santa Sede ritenne la minigonna un abito “degradante” nei confronti delle donne.
Le autorità vaticane vietarono l’accesso alle donne, colle gonne sopra il ginocchio, nella Basilica di San Pietro e nei Musei Vaticani.
Nel 1969 venne da lì respinta la principessa del Belgio, Paola Ruffo di Calabria.
Ma anche altri stilisti come il francese André Courrèges o il californiano di adozione Rudi Gernreich negli anni 60 ebbero la stessa ispirazione di accorciare le gonne.
Del resto la stessa Mary Quant affermò che la minigonna è stata inventata dalla strada.
La ribellione dei giovani ai periodi precedenti, la facilità e l’economicità di produrre questi capi, fecero sì che la minigonna si diffondesse facilmente sia nella quotidianità che nell’alta moda.
Lo stilista André Courrèges presentò una minigonna meno aderente e portata con stivaletti per un outfit d’alta moda.
Diversi fotografi come Helmut Newton e Richard Avedon immortalarono modelle come Twiggy in minigonna e abiti molto corti.
La modella Jean Shrimpton fu oggetto di scandalo nel 1965, poiché si presentò all’ippodromo di Melbourne, dove si svolgeva il Victoria Derby, con un miniabito di Colin Rolfe, senza calze, né guanti, né cappello, mentre era circondata da donne più anziane, vestite in maniera tradizionale.
La minigonna si associava bene allo spirito di ribellione di quegli anni.
In alcuni movimenti femministi la minigonna venne associata all’atto del bruciare il reggiseno, come protesta contro i simboli della donna tradizionale.
La moda della minigonna e in genere le mode legate alla Swinging London, originarie del blocco occidentale, si diffusero negli Stati Uniti.
Mentre in Cina, dove era in atto la Rivoluzione Culturale, la minigonna venne rigettata come simbolo della “depravazione” dell’Occidente capitalista.
In Italia la minigonna iniziò a diffondersi nel 1966, ma spesso scandalizzava l’opinione pubblica e veniva per lo più riservata per i locali da ballo.
Nel 1967 Nicola Adelfi scrisse un articolo su La Stampa, in cui sosteneva che la minigonna è un passo indietro nella lotta per la parità dei diritti della donna, rendendola un mero oggetto di attrazione sessuale.
Sempre nel 1967 la polizia francese accusò la minigonna di favorire gli atti di violenza sulle donne, stimati in aumento, mentre il ministro dell’istruzione Alain Peyrefitte chiese il ritorno alla gonna lunga nelle scuole, suscitando polemiche anche da parte dei presidi.
La Santa Sede ritenne la minigonna un abito “degradante” nei confronti delle donne.
Le autorità vaticane vietarono l’accesso alle donne, colle gonne sopra il ginocchio, nella Basilica di San Pietro e nei Musei Vaticani.
Nel 1969 venne da lì respinta la principessa del Belgio, Paola Ruffo di Calabria.
Iscriviti a:
Post (Atom)