E’ nei suoi natali intimamente imparentato con quelle stoffe umili, che genericamente si definiscono “fustagni”.
Questi tessuti, grezzi e robusti, dovevano soddisfare le popolazioni dei lavoratori.
Nel Medio Evo venivano prodotti da contadini, reclutati nelle campagne e non iscritti ad alcuna corporazione, che tessevano durante le pause dal lavoro dei campi.
L’archetipo del blue jeans nasce a Genova attorno al 1500, quando col termine “blue de Genes” i Francesi indicavano un particolare tipo di telone, di colore blu, utilizzato per coprire le merci sulle navi.
E forse questo tessuto, particolarmente resistente alle intemperie durante i viaggi in mare, veniva fabbricato nella città francese di Nimes, da cui derivò la parola denim (De Nimes), con cui ancora oggi viene chiamato questo tessuto.
Proprio con esso i “camali du portu” di Genova facevano i loro pantaloni da lavoro.
La storia tramanda che anche Giuseppe Garibaldi, già stato un marinaio, indossasse, come molti altri garibaldini, un paio di jeans durante la battaglia di Marsala.
A partire dal 1850 il termine jeans non indica solo più un tessuto, ma un determinato modello di pantaloni.
Infatti Levi’s Strauss a San Francisco crea un modello di pantaloni, a cinque tasche, molto resistente,
per cercatori d’oro.
In Europa questo indumento da lavoro si diffonde alla fine della Seconda Guerra Mondiale, colle armate americane vincitrici.
Dopo gli anni ’50 i giovani cominciano a vestire, molto saltuariamente, i jeans, tanto per sentirsi simili ai loro idoli americani del cinema e del rock’n’roll come James Dean e Elvis Presley.
Durante la fine degli anni sessanta, ricordo ancora, come in un sogno, i negozietti di jeans sotto la ferrovia, che passa attraverso Genova-Sampierdarena.
Qui i ragazzi diciottenni, di nascosto dai genitori, comperavano il proibito oggetto di desiderio.
A quell’epoca io non ero ancora in grado di uscire da sola, per comperare un paio di pantaloni.
Ma ricordo come fossi soddisfatta per le tragedie, che scoppiavano in casa, quando mio zio portava un paio di jeans.
Qui i ragazzi diciottenni, di nascosto dai genitori, comperavano il proibito oggetto di desiderio.
A quell’epoca io non ero ancora in grado di uscire da sola, per comperare un paio di pantaloni.
Ma ricordo come fossi soddisfatta per le tragedie, che scoppiavano in casa, quando mio zio portava un paio di jeans.
In effetti durante l’esplosione del movimento hippy, i jeans divennero uno dei simboli della ribellione, assieme ai capelli e alle basette lunghe.
Durante gli anni ’90, colla fine della contestazione, i jeans conobbero un periodo sfortunato, tanto che la storica fabbrica Levi’s rischiò il fallimento.
Nel 2000 tutti sappiamo come ancora i jeans si difendano egregiamente.
Sportivi od eleganti, semplici o impreziositi, larghi o stretti, lunghi o corti, tutti noi li vestiamo, quasi giornalmente, a torto o a ragione, con pessimo o ottimo gusto.