mercoledì 28 novembre 2012

La moda anni '50 2 parte

Negli anni ’50 la capitale indiscussa della moda, anzi dell’Haute Couture, è Parigi.

In quegli anni, a parer mio, l’artigianalità della sartoria di alta moda sfiora veramente l’opera d’arte.
La moda di allora detterà quei canoni, rimasti validi in tutti i decenni successivi e raggiungerà vertici, mai più superati.
Nel 1947 nasce il New Look di Christian Dior colla sua  giacchina sagomata, aderente sui fianchi e strizzati in vita, sopra alla ricchissima gonna a ruota, che copre il ginocchio ed è sostenuta da un’ampia sottogonna.

Questo stile aristocratico, sia pur nella sua rigidità, venne impersonato alla perfezione dall’algida e raffinata Grace Kelley.

Per un altro verso, Madmoiselle Chanel rielabora una moda, anch’essa elegante e ricca, ma che strizza l’occhio a quella che sarà la donna di qualche decennio successivo.

Chanel crea dei tailleur con tessuti più informali e pratici, come il bouclé o il tweed.
Non perde però mai di vista il taglio essenziale di alta sartoria.
I suoi tailleur sono impreziositi dal dettaglio della catenella, che viene cucita dentro il bordo inferiore della giacca e della gonna, per garantire una perfetta caduta.
Era cosa normale nelle sarte, anche casalinghe di allora, mettere dei pezzetti di piombo nell’orlo delle gonne.
Ancora oggi, per le amanti dello stile Chanel, un must have è la borsa matelassé colla catenella.

Alla fine degli anni ’50 Givenchy lancia un taglio d’abito dritto, dalle spalle al ginocchio, privo di punto vita: l’abito a sacco.
L’abito a sacco nasce forse anche per favorire molte donne di allora, dalle forme morbide se non prosperose, che non andavano in palestra, né si imponevano diete, per raggiungere proporzioni alla Grace Kelley o Audrey Hepburn, ma frequentavano volentieri gli atelier di gran moda.


Curiosamente il vestito a sacco ispirerà due simboli della moda ribelle anni ‘60: il vestito a trapezio e la minigonna.

giovedì 22 novembre 2012

La moda anni '50 1 parte

Finalmente negli anni ’50 ci si allontana dall’austerità del precedente periodo bellico.
La rinascita porta il benessere economico e le donne sono più libere di guardare alla moda.

La ripresa della moda degli anni ’50 con la tipica vita alta, da parte di alcuni nostri odierni stilisti, non potrà che essere di buon auspicio: speriamolo!

 
In America, questi sono gli anni del rock’n’roll, dei blue jeans, delle pin up e dei pois.
Tramite il cinema e la televisione i più progrediti Stati Uniti propongono diversi stili di vita e di look anche in Europa.

C’è la perfetta casalinga, regina degli elettrodomestici, che si aggira nella sua spaziosa cucina, colla classica gonna a ruota, strizzata in vita da una cintura.
La camicetta aderente alla pelle, mette in evidenza un generoso decolleté e può essere in tinta unita o a pois.



Le calzature sono delle semplici ballerine o sandali bassi.
I capelli sono raccolti in una ingenua coda di cavallo con frangetta calata quasi sugli occhi, oppure possono essere ondulati o gonfiati da pratici attrezzi, che tanta fortuna avranno anche in Europa: i bigodini.
Il foulard fantasia, legato al collo, è l’accessorio che completa questo look bon ton.

Più sbarazzino e sfacciato è il look della pin up.
Esso prevede shorts o aderenti jeans con camicia legata in vita.

 

Oppure il vestitino, che mette in evidenza il punto vita, può prevedere l’allacciatura dietro il collo con ampia scollatura.
Quest’ultimo motivo mi piace molto utilizzarlo nei vestiti estivi.

 

Negli studi hollywoodiani il make-up si perfeziona: il mascara e l’eyeliner fanno assumere agli occhi quella tipica forma  stile Audrey Hepburn.
L’accessorio caratteristico dell’epoca sono gli occhiali modello cat eye.

Ancora oggi possiamo vederli indossati, con outfit stile americano bon ton anni’50, da una raffinata presenter, in una nota trasmissione di un giovane canale televisivo italiano.

mercoledì 21 novembre 2012

Moda femminile anni '40

Siamo in un periodo difficile, di crisi, nel senso che la realtà socio economica del mondo sta cambiando.
Forse per questo motivo la moda, che riflette sempre le abitudini e i bisogni di una società, avendo poche vie di uscita, ripesca negli anni ’40.
In quegli anni, dilaniati dagli orrori della seconda guerra mondiale, la sobrietà e la praticità erano le parole d’ordine.

Questi abiti semplici ed essenziali venivano confezionati cogli stessi tessuti delle divise militari: lana, cotone, seta e, in genere, tessuti modesti.
Il tipo di outfit della donna degli anni ’40 è il così detto tailleur-divisa, che personalmente adoro.
Questo taglio pulito e finito si protrarrà anche alla fine degli anni ’40, quando nascerà il così detto New Look di Christian Dior.

La gonna in genere scende fino al ginocchio, è stretta in vita e dritta sulle gambe.
La giacca è anch’essa stretta in vita, di taglio squadrato, che mette in evidenza le spalle, rendendole importanti.
I colori sono severi: verde scuro, marrone e cammello.

Sotto la giacca viene messa una semplice camicia bianca.
Unico vezzo di questo autfit rigoroso, può essere un foulard in fantasia, adagiato sul collo.

Mentre la borsa a cartella completa degnamente l’austerità di questo total look, che io trovo elegante.

sabato 17 novembre 2012

bareMinerals Ready palette

bareMinerals Ready palettes, sono delle palette di quattro ombretti.

A differenza degli ombretti tradizionali di bareMinerals, che sono in polvere libera, questi sono compatti.
Ma mantengono egregiamente le qualità di naturalezza, leggerezza e definizione di quelli in polvere.
La nuova formulazione, oltre alle polveri minerali, contiene antiossidanti, caffeina e ingredienti derivati dal cetriolo e dall’olio di borragine.


La loro presentazione pressata, fa sì che siano comodi da utilizzare, senza che le polveri possano spargersi altrove.
La loro composizione leggermente più pastosa delle polveri libere, permette loro di non insinuarsi nelle pieghe e rughette e di camuffare meglio gonfiori ed occhiaie.
Per questo sono adatti a tutte le età e a tutti i tipi di pelle.


Saranno molto amati per la loro praticità, facilità di applicazione e per il packaging sottile e antiscivolo.
Potranno essere usati in qualsiasi stagione, senza temere che colino per il sudore o si sfaldino col passare delle ore. 

lunedì 12 novembre 2012

Il mondo dei jeans. 2^ parte

Come la maggior parte delle persone, ho indossato jeans di tutti i tipi e marche.
Attualmente, gli unici che mi soddisfano pienamente, sono i Jacob Cohen.
Adoro la morbidezza del loro tessuto, la vestibilità, le rifiniture accurate.

L’inventore dei jeans Jacob Cohen è l’italiano Nicola Bardella, titolare di un’azienda in provincia di Rovigo, che l’anno passato ha fatturato 50 milioni di euro.
I suoi jeans, chiamati Jacob Cohen in onore di Jacob Davis, l’ottocentesco sarto primo ad utilizzare dei rivetti di rame per fissare meglio le tasche e rendere l’indumento più resistente, si possono definire “sartoriali”.

 Sono dei jeans con bottoni e rivetti placcati d’argento e i passanti cuciti a mano.


Inoltre ciascun paio di pantaloni viene venduto corredato di un piccolo raffinato foulard in fantasia e di  un sacchetto in raso bianco logato, con dentro il filo del giusto colore per l’orlo, bottoni di ricambio e delle pietruzze per lucidare l’argento dei bottoni.


Per questi motivi sono distribuiti ed apprezzati in tutta Europa, Giappone e ultimamente in Nord America e Scandinavia.

Speriamo che continuino ad esistere, nonostante il prematuro decesso dell’inventore.

Io li acquisto in un caratteristico negozio del centro storico della mia città, dove li ho conosciuti, grazie ad una competente quanto simpatica commessa di nome Viviana. 

mercoledì 7 novembre 2012

Il mondo dei jeans. 1^parte

Il tessuto dei jeans non ha di certo nobili origini.
E’ nei suoi natali intimamente imparentato con quelle stoffe umili, che genericamente si definiscono “fustagni”.
Questi tessuti, grezzi e robusti, dovevano soddisfare le popolazioni dei lavoratori.
Nel Medio Evo venivano prodotti da contadini, reclutati nelle campagne e non iscritti ad alcuna corporazione, che tessevano durante le pause dal lavoro dei campi.
L’archetipo del blue jeans nasce a Genova attorno al 1500, quando col termine “blue de Genes” i Francesi indicavano un particolare tipo di telone, di colore blu, utilizzato per coprire le merci sulle navi.

E forse questo tessuto, particolarmente resistente alle intemperie durante i viaggi in mare, veniva fabbricato nella città francese di Nimes, da cui derivò la parola denim (De Nimes), con cui ancora oggi viene chiamato questo tessuto.
Proprio con esso i “camali du portu” di Genova facevano i loro pantaloni da lavoro.
La storia tramanda che anche Giuseppe Garibaldi,  già stato un marinaio, indossasse, come molti altri garibaldini, un paio di jeans durante la battaglia di Marsala.
A partire dal 1850 il termine jeans non indica solo più un tessuto, ma un determinato modello di pantaloni.
 Infatti Levi’s Strauss a San Francisco crea un modello di pantaloni, a cinque tasche, molto resistente,
per cercatori d’oro.


In Europa questo indumento da lavoro si diffonde alla fine della Seconda Guerra Mondiale, colle armate americane vincitrici.
Dopo gli anni ’50 i giovani cominciano a vestire, molto saltuariamente, i jeans, tanto per sentirsi simili ai loro idoli americani del cinema e del rock’n’roll come James Dean e Elvis Presley.

Durante la fine degli anni sessanta, ricordo ancora, come in un sogno, i negozietti di jeans sotto la ferrovia, che passa attraverso Genova-Sampierdarena.
Qui i ragazzi diciottenni, di nascosto dai genitori, comperavano il proibito oggetto di desiderio.
A quell’epoca io non ero ancora in grado di uscire da sola, per comperare un paio di pantaloni.
Ma ricordo come fossi soddisfatta per le tragedie, che scoppiavano in casa, quando mio zio portava un paio di jeans.

In effetti durante l’esplosione del movimento hippy, i jeans divennero uno dei simboli della ribellione, assieme ai capelli e alle basette lunghe.

Durante gli anni ’90, colla fine della contestazione, i jeans conobbero un periodo sfortunato, tanto che la storica fabbrica Levi’s rischiò il fallimento.

Nel 2000 tutti sappiamo come ancora i jeans si difendano egregiamente.
Sportivi od eleganti, semplici o impreziositi, larghi o stretti, lunghi o corti, tutti noi li vestiamo, quasi giornalmente, a torto o a ragione, con pessimo o ottimo gusto.

giovedì 1 novembre 2012

Il tubino nero, ovvero il sottile fascino dello stile bon ton

Un must have di quest’inverno è: il tubino nero.
Se la moda oscilla tra lo stile trasgressivo e il rassicurante stile bon ton, nulla , meglio del tubino nero, impersona la signora per bene, assolutamente di classe.


Cinzia Felicetti nel suo saggio “ Assolutamente glam!” è d’accordo nel definire questo capo principe del guardaroba femminile la “Ford della moda”.
Si dice che il tubino nero venne inventato da Coco Chanel, col nome di Petit noir, per creare un abito adatto a qualsiasi circostanza.
E forse neppure Madame Gabrielle avrebbe potuto immaginare, che il tubino nero sarebbe diventato un classico, quintessenza dello chic, sexy in maniera sconcertante, nel suo austero e castigato colore.

Quest’abito semplice, regalmente sottile, senza maniche, che accarezza il ginocchio, è intimamente legato a donne, diventate icone di moda ed emblema di classe, specialmente negli anni sessanta.

 


Audrey Hepburn lo rende immortale e lo eleva all’Olimpo una volta per tutte, vestendolo nel film “Colazione da Tiffany”.
Jacqueline Kennedy Onassis lo indossa volentieri durante le sue uscite pubbliche, magari arricchendolo con vistose spille gioiello.

Nella versione odierna, stile Kate Middleton, possiamo evitare di indossare, col Little black dress, i guanti neri, lunghi fino al gomito, con bracciale a vista.

Ma penso che questo capo si accompagni molto bene ad un filo di perle attorno al collo e ad un bracciale tennis di diamanti incolori al polso.
Mentre un paio di decolleté nere con tacco alto e sottile mi sembrano di rigore.