In occasione dell'anniversario della pubblicazione del primo articolo sul blog, abbiamo deciso di organizzare un contest per premiare le nostre più affezionate lettrici e ringraziarle delle tante visite ricevute.
Tra coloro che risponderanno esattamente alle seguenti domande ispirate agli articoli pubblicati qui ma anche su sul precedente Beauty Blog estrarremo tre nominativi a cui spediremo i campioncini di prodotti cosmetici rappresentati in foto.
1) La borsa: a cosa può corrispondere nell’immaginario femminile?
2) Quali sono, secondo il punto di vista dell’autore, i blush più glamour?
3) Voglia d’estate, scaldiamoci lo sguardo con del toffee dorato: quale?
4) Un’amica mi è venuta in aiuto e ha scritto un articolo: chi?
5) Ho l’arsura sulle labbra: cosa posso usare?
Mandate le vostre risposte a questa mail, avete tempo fino al 07 marzo!!!
Buon divertimento :)
giovedì 21 febbraio 2013
lunedì 18 febbraio 2013
Prendersi cura dei piedi
Anche se il momento di indossare i sandali e di laccare le nostre unghie dei piedi con sfavillanti smalti è ancora lontano, bisogna che ci prendiamo cura delle nostre preziose estremità.
Tutto il giorno costrette in pesanti calzature, sottoposte all’attrito delle calze, i nostri poveri piedi si inaridiscono, si infiammano, la loro pelle si ispessisce.
E’ utile ogni tanto fare una seduta di pedicure, e almeno una volta la settimana uno scrub, idratare la pelle tutti i giorni al fine di mantenerla morbida ed elastica il più possibile.
Di tutti i prodotti per pedicure testati, i migliori mi sembrano quelli di Margaret Dabbs.
Margaret Dabbs è una podologa, molto stimata nel Regno Unito, tanto da essere soprannominata “queen of feet”.
Le sue clinics and nail spa sono apprezzate da celebrities e no.
Le sue spa sono dislocate in mega store a Londra, come il raffinato Liberty.
Coi suoi trattamenti Margaret Dabbs vuole garantire piedi esteticamente belli e sani.
Per questo, nei suoi centri, oltre ad una accurata pedicure, non mancano agopuntura, massaggi, riflessologia plantare, trattamenti con oli essenziali, e l’ormai famoso fish pedicure.
Quest’ultimo peeling cosmetico naturale viene fatto immergendo i piedi in una vasca, dove nuotano dei piccoli pesci grigi, originari del Mar Morto “il pesce dottore”, che si nutrono voracemente delle cellule epiteliali morte, mentre scartano la pelle viva.
Inoltre producono un enzima, che ha un effetto rivitalizzante sulla pelle nuova.
L’ingrediente chiave dei prodotti di Margaret Dabbs è l’australiano Olio di Emu, un olio poco conosciuto ma con un vasto spettro di applicazioni: anti-infiammatorio, anti-batterico, anti-fungino, cicatrizzante, trattamento per piccoli ustioni, idratante cutaneo, ipoallergenico, contrasta la caduta dei capelli, utilizzabile come filtro solare e ricco di acidi grassi Omega-3/6/9.
E’ ricco di vitamine naturali, in particolare la vitamina A, di minerali, acidi grassi, lecitina e antiossidanti naturali.
In campo cosmetico è un potente idratante non-comedogenico ed un anti-rughe estremamente efficace.
Io uso la lozione idratante intensiva piedi, perché si assorbe immediatamente, ma lascia la pelle morbida e ha un buon profumo delicato di essenze.
In caso di particolare secchezza della pelle, uso l’olio intensivo, che è in grado di lenire le screpolature e le unghie disidratate.
Tutto il giorno costrette in pesanti calzature, sottoposte all’attrito delle calze, i nostri poveri piedi si inaridiscono, si infiammano, la loro pelle si ispessisce.
E’ utile ogni tanto fare una seduta di pedicure, e almeno una volta la settimana uno scrub, idratare la pelle tutti i giorni al fine di mantenerla morbida ed elastica il più possibile.
Di tutti i prodotti per pedicure testati, i migliori mi sembrano quelli di Margaret Dabbs.
Margaret Dabbs è una podologa, molto stimata nel Regno Unito, tanto da essere soprannominata “queen of feet”.
Le sue clinics and nail spa sono apprezzate da celebrities e no.
Le sue spa sono dislocate in mega store a Londra, come il raffinato Liberty.
Coi suoi trattamenti Margaret Dabbs vuole garantire piedi esteticamente belli e sani.
Per questo, nei suoi centri, oltre ad una accurata pedicure, non mancano agopuntura, massaggi, riflessologia plantare, trattamenti con oli essenziali, e l’ormai famoso fish pedicure.
Quest’ultimo peeling cosmetico naturale viene fatto immergendo i piedi in una vasca, dove nuotano dei piccoli pesci grigi, originari del Mar Morto “il pesce dottore”, che si nutrono voracemente delle cellule epiteliali morte, mentre scartano la pelle viva.
Inoltre producono un enzima, che ha un effetto rivitalizzante sulla pelle nuova.
L’ingrediente chiave dei prodotti di Margaret Dabbs è l’australiano Olio di Emu, un olio poco conosciuto ma con un vasto spettro di applicazioni: anti-infiammatorio, anti-batterico, anti-fungino, cicatrizzante, trattamento per piccoli ustioni, idratante cutaneo, ipoallergenico, contrasta la caduta dei capelli, utilizzabile come filtro solare e ricco di acidi grassi Omega-3/6/9.
E’ ricco di vitamine naturali, in particolare la vitamina A, di minerali, acidi grassi, lecitina e antiossidanti naturali.
In campo cosmetico è un potente idratante non-comedogenico ed un anti-rughe estremamente efficace.
Io uso la lozione idratante intensiva piedi, perché si assorbe immediatamente, ma lascia la pelle morbida e ha un buon profumo delicato di essenze.
In caso di particolare secchezza della pelle, uso l’olio intensivo, che è in grado di lenire le screpolature e le unghie disidratate.
giovedì 7 febbraio 2013
L’anello di fidanzamento
L’uso di portare l’anello è antichissimo, risale all’età del bronzo e reperti cretesi e micenei dimostrano già anelli preziosi, lavorati con cura.
La sua forma circolare lo identifica come simbolo di eternità.
Pur essendo da sempre indossato indifferentemente da uomini e donne; un capitolo tutto particolare e tutto al femminile possiede: l’anello di fidanzamento.
Già al tempo dei Visigoti l’anello di fidanzamento era un dono impegnativo, simbolo di promessa nuziale.
Nel 1477 l’Arciduca Massimiliano d’Austria donò a Maria Borgondia un anello d’oro, sovrastato da un diamante, come promessa di matrimonio.
Da allora regalare il solitario è tradizionalmente la tappa, che prelude il matrimonio.
Il momento in cui un uomo dona ad una donna la mitica scatolina di velluto, che a poco a poco si schiude come un’ostrica, per mostrare lo scintillio di una gemma, tenuta da un cerchio d’oro, è una emozione, che il più delle donne sogna fin dalla fanciullezza.
L’anello di fidanzamento è il simbolo di un impegno serio, di sentimenti solidi, concreti, come quelli di formare una famiglia, di condividere progetti per tutta la vita.
La futura sposa lo indosserà sull’anulare della mano sinistra, perché, secondo la tradizione popolare, si credeva che da quel dito partisse una vena collegata al cuore.
La donna in genere mostra l’anello di fidanzamento con orgoglio, quasi fosse un trofeo meritatamente conquistato, alle volte anche sospirato.
Gli anelli più classici sono il solitario, la riviera con piccoli brillanti e il trilogy, composto da tre pietre simbolo di amore passato, presente e futuro.
Le pietre preziose più usate sono il diamante, simbolo di durata e solidità, il rubino di amore ardente, lo zaffiro di fedeltà, lo smeraldo di speranza, l’acquamarina di matrimonio duraturo e felice, il berillo di forza del legame d’amore, l’opale di sincero amore.
Il fidanzato può anche ispirarsi al segno zodiacale: Ariete (rubino, zaffiro, diamante), Toro (smeraldo, quarzo rosa), Gemelli (smeraldo, turchese), Cancro (perla, tormalina, pietra di luna), Leone (diamante, avventurina verde), Vergine (zaffiro, diamante, diaspro), Bilancia (smeraldo, opale), Scorpione (rubino, quarzo fumé), Sagittario (lapislazzuli), Capricorno (granata, onice, malachite), Acquario (diamante, ametista), Pesci (acquamarina, ametista).
Le famiglie dello sposo più tradizionaliste fanno dono alla nuova sposa di un anello di famiglia, per esprimere il loro benvenuto, come del resto è accaduto presso la famiglia reale inglese.
In mancanza di questo, si fanno carico di acquistare un anello nuovo.
Oppure è lo sposo che, in base alle proprie disponibilità economiche, cerca di accontentare la sua futura sposa.
La sposa a sua volta può contraccambiare con un paio di gemelli, magari di famiglia, con un orologio, o con qualsiasi oggetto con cui ritiene di far contento il futuro sposo e che sarà durevole nel tempo.
Il cerimoniale della consegna dell’anello da parte dei tradizionalisti è contrassegnato da un protocollo abbastanza rigoroso.
La madre della sposa deve predisporre l’incontro tra i futuri consuoceri.
Essa inviterà la futura consuocera ad un pranzo o ad un thé in ragionevole anticipo rispetto alla data stabilita.
Da parte loro i genitori dello sposo contraccambieranno l’invito dei futuri consuoceri e , per buona norma, regaleranno alla futura nuora: un gioiello, una collana di perle, un paio di orecchini o un oggetto d’argento.
Durante queste presentazioni ufficiali delle rispettive famiglie avviene anche il dono dell’anello di fidanzamento.
Oggi è in uso, molto più semplicemente, che l’anello di fidanzamento venga consegnato nell’intimità della coppia, magari con il tacito consenso dei futuri consuoceri.
Comunque le cose accadano, la fatidica scatolina che si apre e il fiume di lacrime che ne seguono, è a tutt’oggi uno dei sogni più inseguiti dal romanticismo femminile.
E questo dono rimane senz’altro il più caro nella vita di una donna, se essa lo porta in seguito al matrimonio vicino alla fede o più volentieri al posto della fede stessa.
La sua forma circolare lo identifica come simbolo di eternità.
Pur essendo da sempre indossato indifferentemente da uomini e donne; un capitolo tutto particolare e tutto al femminile possiede: l’anello di fidanzamento.
Già al tempo dei Visigoti l’anello di fidanzamento era un dono impegnativo, simbolo di promessa nuziale.
Nel 1477 l’Arciduca Massimiliano d’Austria donò a Maria Borgondia un anello d’oro, sovrastato da un diamante, come promessa di matrimonio.
Da allora regalare il solitario è tradizionalmente la tappa, che prelude il matrimonio.
Il momento in cui un uomo dona ad una donna la mitica scatolina di velluto, che a poco a poco si schiude come un’ostrica, per mostrare lo scintillio di una gemma, tenuta da un cerchio d’oro, è una emozione, che il più delle donne sogna fin dalla fanciullezza.
L’anello di fidanzamento è il simbolo di un impegno serio, di sentimenti solidi, concreti, come quelli di formare una famiglia, di condividere progetti per tutta la vita.
La futura sposa lo indosserà sull’anulare della mano sinistra, perché, secondo la tradizione popolare, si credeva che da quel dito partisse una vena collegata al cuore.
La donna in genere mostra l’anello di fidanzamento con orgoglio, quasi fosse un trofeo meritatamente conquistato, alle volte anche sospirato.
Gli anelli più classici sono il solitario, la riviera con piccoli brillanti e il trilogy, composto da tre pietre simbolo di amore passato, presente e futuro.
Le pietre preziose più usate sono il diamante, simbolo di durata e solidità, il rubino di amore ardente, lo zaffiro di fedeltà, lo smeraldo di speranza, l’acquamarina di matrimonio duraturo e felice, il berillo di forza del legame d’amore, l’opale di sincero amore.
Il fidanzato può anche ispirarsi al segno zodiacale: Ariete (rubino, zaffiro, diamante), Toro (smeraldo, quarzo rosa), Gemelli (smeraldo, turchese), Cancro (perla, tormalina, pietra di luna), Leone (diamante, avventurina verde), Vergine (zaffiro, diamante, diaspro), Bilancia (smeraldo, opale), Scorpione (rubino, quarzo fumé), Sagittario (lapislazzuli), Capricorno (granata, onice, malachite), Acquario (diamante, ametista), Pesci (acquamarina, ametista).
Ma quali sono le tappe del rituale, che ruota attorno a questo dono.Le famiglie dello sposo più tradizionaliste fanno dono alla nuova sposa di un anello di famiglia, per esprimere il loro benvenuto, come del resto è accaduto presso la famiglia reale inglese.
In mancanza di questo, si fanno carico di acquistare un anello nuovo.
Oppure è lo sposo che, in base alle proprie disponibilità economiche, cerca di accontentare la sua futura sposa.
La sposa a sua volta può contraccambiare con un paio di gemelli, magari di famiglia, con un orologio, o con qualsiasi oggetto con cui ritiene di far contento il futuro sposo e che sarà durevole nel tempo.
Il cerimoniale della consegna dell’anello da parte dei tradizionalisti è contrassegnato da un protocollo abbastanza rigoroso.
La madre della sposa deve predisporre l’incontro tra i futuri consuoceri.
Essa inviterà la futura consuocera ad un pranzo o ad un thé in ragionevole anticipo rispetto alla data stabilita.
Da parte loro i genitori dello sposo contraccambieranno l’invito dei futuri consuoceri e , per buona norma, regaleranno alla futura nuora: un gioiello, una collana di perle, un paio di orecchini o un oggetto d’argento.
Durante queste presentazioni ufficiali delle rispettive famiglie avviene anche il dono dell’anello di fidanzamento.
Oggi è in uso, molto più semplicemente, che l’anello di fidanzamento venga consegnato nell’intimità della coppia, magari con il tacito consenso dei futuri consuoceri.
Comunque le cose accadano, la fatidica scatolina che si apre e il fiume di lacrime che ne seguono, è a tutt’oggi uno dei sogni più inseguiti dal romanticismo femminile.
E questo dono rimane senz’altro il più caro nella vita di una donna, se essa lo porta in seguito al matrimonio vicino alla fede o più volentieri al posto della fede stessa.
domenica 3 febbraio 2013
La sottoveste
In questi ultimi anni la moda ha ripescato un capo, che era caduto in disuso: la sottoveste.
Questo indumento, oltre ad essere funzionale, durante il ventesimo secolo, il cinema lo fece indossare ad attrici come Silvana Mangano, Lucia Bosé, Sofia Loren, Brigitte Bardot, diventando così simbolo di profondo sex appeal.
Durante gli anni settanta, però l’emancipazione femminile volle cancellare tutti i simboli della donna-bambola, della donna-oggetto, ed ecco che la sottoveste sparisce quasi dal mercato.
Quando e perché nasce la sottoveste?
Probabilmente la sua origine si perde nella notte dei tempi, ma nel sedicesimo secolo veniva indossata per ridurre il girovita o, in versione rigida, per sagomare le gonne e i vestiti più elaborati ed eleganti o anche le gonne aperte sul davanti.
Durante la seconda guerra mondiale la seta era troppo costosa, e le sottovesti per tutti i giorni erano confezionate con lana o cotone.
Finita la guerra, le riviste mostrarono un’immagine rinnovata della donna, più curata e vitale.
Nel 1947 Marcel Rochas cominciò la sfilata con una indossatrice, che portava una sottoveste cortissima di raso bianco e corpetto di pizzo nero.
Da quel momento iniziò la “rivoluzione della biancheria”, la sottoveste divenne più corta e scollata, realizzata in fibre innovatrici come il nylon o le fibre sintetiche.
La sottoveste divenne di nuovo oggetto di lusso; si prediligevano toni pastello, tessuti pregiati, ruches, merletti e pizzi.
Al cinema irruppero le immagini di Liz Taylor in “ La gatta sul tetto che scotta” e di Sofia Loren in “Ieri, oggi e domani”, rimaste ancora oggi icone di prorompente sensualità.
Si potrebbero ancora ricordare altre sex symbol in sottoveste come Marlene Ditrich in “L’angelo azzurro” e da ultimo Kim Basinger in “Nove settimane e mezzo”.
Recentemente la maison Valentino, dalle passerelle di Parigi, ha interpretato la sottoveste sia come mini abito, sia come underwear prezioso, da lasciar trasparire o intuire sotto l’orlo della gonna o sotto una blusa di chiffon.
Indossare la sottoveste, sembra diventato sinonimo di eleganza e stile.
Tanto che Alberta Ferretti, Roberto Cavalli e Simona Barbieri e poi brand come Blumarine, Argento Vivo e l’americana catena di store Victoria’s Secret non hanno esitato a proporcela in maniera convinta e convincente per la prossima primavera-estate.
Io penso che d’estate una sottoveste-dress in fantasie sobrie e rifiniture preziose sia un capo elegante, svelto, fresco e giovanile.
Il brutto è vedere la sottoveste indossata d’inverno, come accade, cogli stivali e sotto giacconi di pelliccia (spero sintetica), magari per una serata o un cocktail.
Il facile, coll’esibire gli indumenti intimi, è rasentare volgarità e sciatteria.
Questo indumento, oltre ad essere funzionale, durante il ventesimo secolo, il cinema lo fece indossare ad attrici come Silvana Mangano, Lucia Bosé, Sofia Loren, Brigitte Bardot, diventando così simbolo di profondo sex appeal.
Durante gli anni settanta, però l’emancipazione femminile volle cancellare tutti i simboli della donna-bambola, della donna-oggetto, ed ecco che la sottoveste sparisce quasi dal mercato.
Quando e perché nasce la sottoveste?
Probabilmente la sua origine si perde nella notte dei tempi, ma nel sedicesimo secolo veniva indossata per ridurre il girovita o, in versione rigida, per sagomare le gonne e i vestiti più elaborati ed eleganti o anche le gonne aperte sul davanti.
Durante la seconda guerra mondiale la seta era troppo costosa, e le sottovesti per tutti i giorni erano confezionate con lana o cotone.
Finita la guerra, le riviste mostrarono un’immagine rinnovata della donna, più curata e vitale.
Nel 1947 Marcel Rochas cominciò la sfilata con una indossatrice, che portava una sottoveste cortissima di raso bianco e corpetto di pizzo nero.
Da quel momento iniziò la “rivoluzione della biancheria”, la sottoveste divenne più corta e scollata, realizzata in fibre innovatrici come il nylon o le fibre sintetiche.
La sottoveste divenne di nuovo oggetto di lusso; si prediligevano toni pastello, tessuti pregiati, ruches, merletti e pizzi.
Al cinema irruppero le immagini di Liz Taylor in “ La gatta sul tetto che scotta” e di Sofia Loren in “Ieri, oggi e domani”, rimaste ancora oggi icone di prorompente sensualità.
Si potrebbero ancora ricordare altre sex symbol in sottoveste come Marlene Ditrich in “L’angelo azzurro” e da ultimo Kim Basinger in “Nove settimane e mezzo”.
Recentemente la maison Valentino, dalle passerelle di Parigi, ha interpretato la sottoveste sia come mini abito, sia come underwear prezioso, da lasciar trasparire o intuire sotto l’orlo della gonna o sotto una blusa di chiffon.
Indossare la sottoveste, sembra diventato sinonimo di eleganza e stile.
Tanto che Alberta Ferretti, Roberto Cavalli e Simona Barbieri e poi brand come Blumarine, Argento Vivo e l’americana catena di store Victoria’s Secret non hanno esitato a proporcela in maniera convinta e convincente per la prossima primavera-estate.
Io penso che d’estate una sottoveste-dress in fantasie sobrie e rifiniture preziose sia un capo elegante, svelto, fresco e giovanile.
Il brutto è vedere la sottoveste indossata d’inverno, come accade, cogli stivali e sotto giacconi di pelliccia (spero sintetica), magari per una serata o un cocktail.
Il facile, coll’esibire gli indumenti intimi, è rasentare volgarità e sciatteria.
Iscriviti a:
Post (Atom)