Due volte l'anno seguo un mio rito personale.
In genere un sabato, stacco la spina dal mio menage quotidiano e vado a Milano nel quadrilatero della moda.
Un'aria salottiera e mondana, quasi fuori dal tempo, si respira tra i passanti rapiti dalle vetrine degli showrooms di via della Spiga e via Montenapoleone.
Non mi perdo tra le miriade di brand idoli, che fanno capolino qua e là, come sirene incantatrici, vado a colpo sicuro.
In via Napoleone improvvisamente svolto in una stretta traversa, faccio pochi passi ed eccomi nel tempio dell'accessorio, che si fa scultura.
Jimmy Choo in Italia non è popolare, ma nelle sue forme armoniche e strutturate, nelle sue linee, che sembrano tirate fuori con uno scalpello, esprime severità, eleganza, internazionalità e una originalità inconfondibile.
I suoi accessori non mi stancano mai, anche dopo due o tre anni, che li indosso, danno al mio look un tocco evidente di raffinata ricercatezza.
Jimmy Choo Yeang Keat, cittadino della Malaysia, è nato nel Penang da una famiglia di produttori di scarpe.
Dopo aver studiato presso il Cordwainers' Technical College ed essersi laureato nel 1983, apre il suo laboratorio ad Hackney per la realizzazione di scarpe, nella parte Est di Londra, ristrutturando un vecchio edificio di ospedale.
Nel 1988 la rivista Vogue dedica un lungo servizio alle creazioni di Jimmy Choo, che assieme alla sponsorizzazione di Diana, principessa del Galles, contribuisce a far diventare Jimmy Choo uno dei più popolari fashion designer al mondo.
Nel 1996 fonda la Jimmy Choo Ltd in società con Tamara Mellon, editrice di Vogue.
Nell'aprile del 2001 vende la metà del valore della sua società.
A questo punto la linea londinese, chiamata Jimmy Choo è sotto la competenza di Tamara Mellon.
Le linee di Jimmy Choo includono oggi accessori, borse, occhiali da sole e profumi.